La questione delle riserve auree
Lunedì 27 Dicembre 2004
La carta stampata in Italia non fa grandi utili. Non è il profitto la ragione per cui esiste. Un contributo alla sua esistenza viene, oltre che dai privilegi concessi da leggi ad hoc, dalla pubblicità e dalla vendita di pregevoli gadget (libri, VHS, DVD, ecc.). Il contenuto è irrilevante al profitto. Le polemiche che riempiono la carta stampata oggi saranno domani meno che irrilevanti. Un esempio da manuale di paralogismi, incongruenze e ignoranza storica ed economica sono le cose scritte sui giornali in questi giorni in merito alla proposta di vendere le riserve auree della Banca d'Italia per ridurre il debito pubblico. A dispetto della catena delle argomentazioni, siamo d'accordo sulle conclusioni: che Banca d'Italia venda le sue riserve. Servirà questo a ridurre il debito pubblico? Rispondo con un'altra domanda. C'è qualcuno che lo crede? Nessuno stato moderno ridurrà mai il debito pubblico. Lo stato moderno si è formato dal ‘500 in poi. È una realtà storica, come l'Egitto dei faraoni, l'Impero mongolo o la breve egemonia di Atene. Avendo lo stato moderno il monopolio della violenza e l'esercizio incontrastato della sovranità porterà alla rovina le società sotto il suo controllo. La civilizzazione nata dal capitalismo e dall'economia di mercato, in ogni epoca impedita dall'azione dei governi, si sfalderà sotto il peso dei debiti, delle regolamentazioni delle tasse e dell'inflazione monetaria. A contrastare l'azione dei governi c'è il desiderio di vivere degli uomini, che, nel tempo loro concesso, producono, inventano, commerciano, tentano, in qualche modo, di portare avanti la divisione del lavoro. Purtroppo, più un uomo è impegnato a produrre e ad ottenere profitto nel suo limitato orizzonte di attività e meno riesce a capire la globalità delle forze storiche in azione. Esiste almeno un uomo che, nel 1913 o nel 1939, qui in Europa aveva ottimizzato la produzione del bene X, che poteva fornire ai consumatori a basso prezzo e di buona qualità, ottenendone un lauto profitto, solo per vedere i suoi sforzi nullificati qualche mese dopo, dalle bombe. Queste righe sono un contributo tardivo agli sforzi di quell'uomo. Mentre tutti sanno di avere bisogno di scarpe, quell'uomo non sa di avere bisogno di queste righe. Gli unici disposti a pagare per i servizi di un intellettuale sono i governi. Gli imprenditori e i consumatori non finanziano gli intellettuali. Gli intellettuali sono molto vanitosi e vorrebbero essere, come tutti, molto ricchi. Dal momento che gli imprenditori e i consumatori non finanziano gli intellettuali, gli intellettuali diventano i servi del governo e sfogano contro l'impresa tutta la frustrazione accumulata. Ovviamente la produzione degli intellettuali moderni, a parte la funzione ideologica immediata pro-statalista, non ha alcun valore intellettuale (si pensi a tutte le pagine stampate sotto i regimi comunisti o a quelle stampate, oggi e qui, dopo la ventura iperinflazione planetaria). Così si spiega come si possano leggere discussioni senza senso sui giornali in merito alla questione delle riserve auree: it's a tale, told by an idiot, full of sound and fury, signifying nothing . La prima cosa seria da dire sulla questione è che le riserve auree della Banca d'Italia non si sa dove siano. Mentre le scuole statali promuovono visite al Parlamento, non si possono fare visite alle riserve auree (ed è un peccato, perché i ragazzi ne sarebbero entusiasti). Da cose lette qua e là mi sono fatto l'idea che le riserve auree delle banche centrali siano sotto la FED di New York, che regola le transazioni auree tra banche centrali spostando lingotti da un armadio con su scritto “U.S.” a uno con su scritto “Germany”. Sfido chiunque a reclamare una proprietà che sta nei bunker di una potenza nucleare. Le transazioni in oro tra banche centrali avvengono senza differenza tra lettera e denaro: l'oro è moneta per le banche centrali. I privati che comprano e vendono oro prevedono una piccola differenza tra denaro e lettera: l'oro è quasi moneta per i privati. La vera moneta per i privati attualmente è la cartamoneta imposta per decreto dai governi e alcuni suoi complessi succedanei. Essa è continuamente inflazionata da chi la emette. La seconda cosa seria da dire sulla questione è che non ci è dato sapere quanto oro sia nella disponibilità delle banche centrali. Una imprecisata quantità di oro è stata prestata dalle banche centrali a delle bullion bank che lo hanno venduto, lasciando alle banche centrali una promessa di pagamento in oro. Il Fondo Monetario Internazionale non impone alle banche centrali di differenziare tra l'oro ancora in loro possesso e i crediti in oro. Basta visitare il sito della Banca Centrale Europea per vedere che la voce è “Gold and Gold Receivables”. Già! Ma sarebbe bello sapere quanto oro e quanto credito in oro abbiano oggi le banche centrali. Sono assolutamente a favore dell'idea di vendere i crediti in oro. Quei crediti non valgono la carta su cui sono scritti: se le bullion bank dovessero ripagare il loro debito in oro spingerebbero talmente in alto il suo prezzo in termini di moneta per decreto che il sistema delle monete per decreto crollerebbe. Quel debito non è stato scritto per essere ripagato, ma per permettere al sistema delle monete per decreto di continuare ad esistere. Si il grafico: È il grafico del tasso di cambio euro/dollaro e del prezzo dell'oro in dollari. Cosa dire: è l'oro che quota come una moneta o l'euro che si comporta come una commodity? Più semplicemente il prezzo dell'oro è manipolato in modo da non risultare mai più conveniente come moneta rispetto a tutte le monete per decreto importanti. Chi negli ultimi quattro anni avesse acquistato oro in euro ci avrebbe rimesso quel due per cento che danno i titoli di stato a breve. Il fenomeno può essere anche visto come un premio assicurativo che l'oro impone a fronte dell'insolvenza dei governi. Quando il cigno nero volerà nei cieli d'Europa, lo si vedrà come un ben misero premio da pagare. La terza cosa seria da dire sulla questione è che l'attuale quotazione dell'euro sul dollaro dipende più dalla sua ingente, anche se forse solo apparente, copertura aurea, che da una inesistente maggiore virtù monetaria della BCE rispetto alla FED. Gli aggregati monetari nell'area euro sono aumentati in misura molto maggiore negli ultimi anni rispetto a quelli in circolazione negli USA. Per noi, che abbiamo colto le fallacie del mercantilismo grazie al sussidiario di storia delle scuole medie, l'euro forte è un sorprendente piacere, anche se mai ci è dato modo di coglierne i vantaggi alla pompa della benzina. Non è quindi nell'auspicio di un euro debole che vediamo con favore la vendita delle riserve auree. Chi ha l'oro, fa le regole. Senza oro, le banche centrali e i governi smetteranno di fare le regole. E allora in buon ordine vedremo all'opera le forze economiche: il cigno nero, l'iperinflazione che si scarica sui prezzi, il caos contrattuale, l'interruzione della divisione del lavoro, la guerra. Il silenzio dei giornalisti? Ahimè, forse no. Il grande esperimento di pianificazione economica iniziato a Bretton Woods nel 1944 e proseguito con la chiusura della Gold Window nel 1971 volge verso la sua fine naturale.
*Intervento a cura di Fabio Gardel - US Equity & Macro LAB
La carta stampata in Italia non fa grandi utili. Non è il profitto la ragione per cui esiste. Un contributo alla sua esistenza viene, oltre che dai privilegi concessi da leggi ad hoc, dalla pubblicità e dalla vendita di pregevoli gadget (libri, VHS, DVD, ecc.). Il contenuto è irrilevante al profitto. Le polemiche che riempiono la carta stampata oggi saranno domani meno che irrilevanti. Un esempio da manuale di paralogismi, incongruenze e ignoranza storica ed economica sono le cose scritte sui giornali in questi giorni in merito alla proposta di vendere le riserve auree della Banca d'Italia per ridurre il debito pubblico. A dispetto della catena delle argomentazioni, siamo d'accordo sulle conclusioni: che Banca d'Italia venda le sue riserve. Servirà questo a ridurre il debito pubblico? Rispondo con un'altra domanda. C'è qualcuno che lo crede? Nessuno stato moderno ridurrà mai il debito pubblico. Lo stato moderno si è formato dal ‘500 in poi. È una realtà storica, come l'Egitto dei faraoni, l'Impero mongolo o la breve egemonia di Atene. Avendo lo stato moderno il monopolio della violenza e l'esercizio incontrastato della sovranità porterà alla rovina le società sotto il suo controllo. La civilizzazione nata dal capitalismo e dall'economia di mercato, in ogni epoca impedita dall'azione dei governi, si sfalderà sotto il peso dei debiti, delle regolamentazioni delle tasse e dell'inflazione monetaria. A contrastare l'azione dei governi c'è il desiderio di vivere degli uomini, che, nel tempo loro concesso, producono, inventano, commerciano, tentano, in qualche modo, di portare avanti la divisione del lavoro. Purtroppo, più un uomo è impegnato a produrre e ad ottenere profitto nel suo limitato orizzonte di attività e meno riesce a capire la globalità delle forze storiche in azione. Esiste almeno un uomo che, nel 1913 o nel 1939, qui in Europa aveva ottimizzato la produzione del bene X, che poteva fornire ai consumatori a basso prezzo e di buona qualità, ottenendone un lauto profitto, solo per vedere i suoi sforzi nullificati qualche mese dopo, dalle bombe. Queste righe sono un contributo tardivo agli sforzi di quell'uomo. Mentre tutti sanno di avere bisogno di scarpe, quell'uomo non sa di avere bisogno di queste righe. Gli unici disposti a pagare per i servizi di un intellettuale sono i governi. Gli imprenditori e i consumatori non finanziano gli intellettuali. Gli intellettuali sono molto vanitosi e vorrebbero essere, come tutti, molto ricchi. Dal momento che gli imprenditori e i consumatori non finanziano gli intellettuali, gli intellettuali diventano i servi del governo e sfogano contro l'impresa tutta la frustrazione accumulata. Ovviamente la produzione degli intellettuali moderni, a parte la funzione ideologica immediata pro-statalista, non ha alcun valore intellettuale (si pensi a tutte le pagine stampate sotto i regimi comunisti o a quelle stampate, oggi e qui, dopo la ventura iperinflazione planetaria). Così si spiega come si possano leggere discussioni senza senso sui giornali in merito alla questione delle riserve auree: it's a tale, told by an idiot, full of sound and fury, signifying nothing . La prima cosa seria da dire sulla questione è che le riserve auree della Banca d'Italia non si sa dove siano. Mentre le scuole statali promuovono visite al Parlamento, non si possono fare visite alle riserve auree (ed è un peccato, perché i ragazzi ne sarebbero entusiasti). Da cose lette qua e là mi sono fatto l'idea che le riserve auree delle banche centrali siano sotto la FED di New York, che regola le transazioni auree tra banche centrali spostando lingotti da un armadio con su scritto “U.S.” a uno con su scritto “Germany”. Sfido chiunque a reclamare una proprietà che sta nei bunker di una potenza nucleare. Le transazioni in oro tra banche centrali avvengono senza differenza tra lettera e denaro: l'oro è moneta per le banche centrali. I privati che comprano e vendono oro prevedono una piccola differenza tra denaro e lettera: l'oro è quasi moneta per i privati. La vera moneta per i privati attualmente è la cartamoneta imposta per decreto dai governi e alcuni suoi complessi succedanei. Essa è continuamente inflazionata da chi la emette. La seconda cosa seria da dire sulla questione è che non ci è dato sapere quanto oro sia nella disponibilità delle banche centrali. Una imprecisata quantità di oro è stata prestata dalle banche centrali a delle bullion bank che lo hanno venduto, lasciando alle banche centrali una promessa di pagamento in oro. Il Fondo Monetario Internazionale non impone alle banche centrali di differenziare tra l'oro ancora in loro possesso e i crediti in oro. Basta visitare il sito della Banca Centrale Europea per vedere che la voce è “Gold and Gold Receivables”. Già! Ma sarebbe bello sapere quanto oro e quanto credito in oro abbiano oggi le banche centrali. Sono assolutamente a favore dell'idea di vendere i crediti in oro. Quei crediti non valgono la carta su cui sono scritti: se le bullion bank dovessero ripagare il loro debito in oro spingerebbero talmente in alto il suo prezzo in termini di moneta per decreto che il sistema delle monete per decreto crollerebbe. Quel debito non è stato scritto per essere ripagato, ma per permettere al sistema delle monete per decreto di continuare ad esistere. Si il grafico: È il grafico del tasso di cambio euro/dollaro e del prezzo dell'oro in dollari. Cosa dire: è l'oro che quota come una moneta o l'euro che si comporta come una commodity? Più semplicemente il prezzo dell'oro è manipolato in modo da non risultare mai più conveniente come moneta rispetto a tutte le monete per decreto importanti. Chi negli ultimi quattro anni avesse acquistato oro in euro ci avrebbe rimesso quel due per cento che danno i titoli di stato a breve. Il fenomeno può essere anche visto come un premio assicurativo che l'oro impone a fronte dell'insolvenza dei governi. Quando il cigno nero volerà nei cieli d'Europa, lo si vedrà come un ben misero premio da pagare. La terza cosa seria da dire sulla questione è che l'attuale quotazione dell'euro sul dollaro dipende più dalla sua ingente, anche se forse solo apparente, copertura aurea, che da una inesistente maggiore virtù monetaria della BCE rispetto alla FED. Gli aggregati monetari nell'area euro sono aumentati in misura molto maggiore negli ultimi anni rispetto a quelli in circolazione negli USA. Per noi, che abbiamo colto le fallacie del mercantilismo grazie al sussidiario di storia delle scuole medie, l'euro forte è un sorprendente piacere, anche se mai ci è dato modo di coglierne i vantaggi alla pompa della benzina. Non è quindi nell'auspicio di un euro debole che vediamo con favore la vendita delle riserve auree. Chi ha l'oro, fa le regole. Senza oro, le banche centrali e i governi smetteranno di fare le regole. E allora in buon ordine vedremo all'opera le forze economiche: il cigno nero, l'iperinflazione che si scarica sui prezzi, il caos contrattuale, l'interruzione della divisione del lavoro, la guerra. Il silenzio dei giornalisti? Ahimè, forse no. Il grande esperimento di pianificazione economica iniziato a Bretton Woods nel 1944 e proseguito con la chiusura della Gold Window nel 1971 volge verso la sua fine naturale.
*Intervento a cura di Fabio Gardel - US Equity & Macro LAB
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